Hai difficoltà a rivisitare i momenti tristi della tua infanzia? A me capita spesso. Ti racconto un po’ in questo testo.
Mi sentivo piuttosto a disagio la maggior parte delle volte che vedevo le mie foto di quando ero bambina, perché mi era chiaro che ero triste.
Non ho un buon rapporto con questa immagine che ho di quando ero piccola. Vorrei essere stata una bambina giocosa, vivace e leggera. Per molto tempo evitavo di guardare le foto. Ma ricordo che all’inizio di quest’anno, visitando mio padre nella città dove ho trascorso gran parte della mia infanzia, in Brasile, lui è venuto a mostrarmi una mia foto di quel periodo.
E, per la prima volta, non volevo scappare di fretta, non volevo evitare di vedere la mia tristezza nelle foto… Per la prima volta ho provato tenerezza per quella bambina, il mio sguardo si è connesso a lei con empatia e ho cercato di comprenderla. Mi sono resa conto che ero io, e che NON ERO TRISTE, ma piuttosto sperimentando la tristezza e che era un modo di esprimermi, il modo in cui, in quel momento, potevo comunicare.
Fin da piccola facevo del mio meglio per esprimermi, per comunicare. Anche se in realtà ero silenziosa, non ne ho parlato. Questa tristezza voleva essere vista, ascoltata, compresa e validata perché conteneva un messaggio e questo messaggio voleva raggiungere i giusti destinatari.
Sono stata felice di vedere che oggi posso guardare una foto e vedere la ragazza, accoglierla, fare pace con lei. Wow, ho già 50 anni, non è stato dall’oggi al domani! Avevo bisogno di imparare ad accogliere, essere presente, senza respingere la tristezza, evitandoe di vederla, ma dando pieno spazio all’ascolto e all’espressione, e questo ha cambiato molte cose internamente ed esternamente.
Ascoltare non per parlare di come in realtà andava tutto bene, per sentirti rapidamente felice invece che triste, o ricordarmi come c’erano persone con dei problemi molto peggiori, darmi lezione morale o sentirti in colpa perché mi sbagliavo. No…
Ascoltando Fabiola, la bambina che racconta che è triste, senza doversi biasimare, ma ascoltando ciò che questa tristezza comunica, che sì, qualche bisogno non era soddisfatto, e dato che non era stato ascoltato questo messaggio, la tristezza si riproponeva nelle foto… ho potuto accogliere con affetto, perché so cosa significa avere i propri bisogni non visti, validati e nutriti.
Ho ascoltato la mia bambina con empatia, capendo che io sono lei, lei è me, e insieme, quando ci connettiamo, qualcosa si libera, guariamo.
È da questo luogo di connessione, guarigione, intenzione e ascolto empatico che nel 2017 è venuto alla luce il Fare Pace. Dal momento in cui sono riuscita a riconciliarmi con le tante parti di me stessa, ho compreso di aver Fatto Pace, e che questo fosse di grande valore. Oggi mi dedico a sostenere altre persone a scoprire questa possibilità di trasformazione.
Perché quando mi connetto per capirmi si libera uno spazio interiore e in esso posso scegliere di ricevere empaticamente l’altro e capire come posso contribuire alla vita di quella persona.
Credo che partendo dal nostro mondo interiore, possiamo contribuire a far emergere più leggerezza, compassione, solidarietà e comprensione. Possiamo arrivare al punto in cui consideriamo i bisogni di tutti, momento per momento, non per obbligo, ma perchè ci diverte l’idea di rendere la vita qui sulla terra più leggera e piacevole!
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